La frutta secca in guscio (terza parte)

Frutta secca in guscio 3

Mandorle e nocciole sono le protagoniste della terza parte dell’articolo sulla frutta secca in guscio.

Mandorle

La mandorla è il seme oleaginoso commestibile del Prunus dulcis, appartenente alla famiglia delle Rosacee, originario dell’Asia centro occidentale e diffuso, grazie ai fenici provenienti dalla grecia, ai romani ed agli egizi, in tutti i paesi dal clima temperato dell’Europa meridionale, dell’Africa settentrionale e, solo più recentemente, trasportato in altre parti del mondo.

La prima prova dell’esistenza di mandorle selvatiche risale al Pleistocene (780.000 anni a.C.) e proviene dal sito archeologico di Gesher Benot Ya’aqov in Israele, dove sono stati ritrovati resti di mandorle, pistacchi e altra frutta secca, probabilmente estinta, insieme ad attrezzi che venivano utilizzati per liberarla dal guscio, come martelli e incudini.
Resti di mandorle sono state ritrovate anche nella tomba di Tutankhamon in Egitto, sotto il palazzo di Cnosso e in quello di Agía Triáda, importanti siti archeologici risalenti all’età del Bronzo, entrambi sull’isola Creta.

Il medico greco Ippocrate, considerato il padre della medicina, fu uno dei primi a parlare di mandorle. Nella sua opera Hippocraticum descrive le mandorle come un alimento utilizzato in medicina in grado di curare il raffreddore e i “disturbi flemmatici”.

Gli antichi gli attribuivano anche altre virtù, come la capacità di prevenire l’intossicazione o come rimedio per prevenire l’ebbrezza se consumate prima di bere. Lo storico greco Plutarco racconta di un grande bevitore di vino che mangiava cinque o sei mandole amare per non ubriacarsi. La stessa proprietà viene citata dal medico greco Dioscoride e dal romano Plinio, quest’ultimo ne evidenzia anche l’utilizzo come sonnifero, come diuretico e per stimolare l’appetito. Venivano, inoltre utilizzate per uso topico per curare l’emicrania, in particolar modo quando era presente anche la febbre, per la letargia e per l’epilessia ed in combinazione con vino per guarire le ulcere

Le mandorle rivestono un ruolo importante nella dieta degli antichi greci e dei romani. Sono un ingrediente in molte ricette della Grecia classica, dove venivano soprattutto utilizzate nella preparazione di salse da servire insieme al dessert, alla fine del pasto. Mandorle crude o tostate venivano ampiamente consumate nell’antica Roma. Nel libro di Apicio ‘De re coquinaria, sono descritte come ingrediente utilizzato in vari piatti come salse e dolci.

E’ grazie agli arabi che le mandorle giungono in Tunisia e in Marocco, intorno al 500-600 d.C., durante la conquista del Nord Africa e da qui nella penisola Iberica attraverso lo stretto di Gibilterra.
Nella cultura andalusa, le mandorle sono state utilizzate in molte ricette come nel marzapane, nel torrone e nell’Alaju, un piatto preparato con pasta di mandorle, noci, pinoli, spezie, pane e miele.
Per tutto il Medioevo, in Andalusia, il latte di mandorla viene ampiamente consumato durante le feste e anche utilizzato per curare le malattie.

Per molti secoli le mandorle hanno simboleggiato nell’Europa Meridionale la buona sorte. In Grecia, mandorle candite sono consumate durante i matrimoni come simboli di lunga vita e felicità. L’usanza di regalare e mangiare confetti di mandorle in occasione di nozze e battesimi deriva proprio dal valore simbolico di prosperità collegato alla mandorla.

A partire dal XVI secolo, grazie agli spagnoli, il mandorlo giunge anche in America, prima viene coltivato in Messico e poi anche più a nord, ad opera dei frati francescani che ne introducono la coltivazione nelle loro missioni, lungo l’attuale Route 101, meglio nota al tempo come “El Camino Real” che si estendeva per circa 600 miglia, da San Diego a Sonoma. Grazie alla condizioni climatiche ottimali, le mandorle sono state coltivate in tutto lo Stato della California e attualmente è il principale produttore mondiale.

Nocciola

Il nocciolo è una pianta originaria dell’Asia Minore, appartenente alla Famiglia delle Betulaceae e al genere Corylus. Sono state coltivate in Cina più di 5000 anni fa, ma un consumo risalente al periodo Mesolitico è stato evidenziato grazie all’analisi con il carbonio eseguito su reperti ritrovati nell’isola di Colonsay in Scozia.

Dagli antichi greci venivano utilizzate per il trattamento di malattie come il raffreddore e per curare la calvizie. Credevano che un consumo eccessivo causasse vertigini e mal di testa e, dal momento che le ritenevano difficilmente digeribili se mangiate crude, ne consigliavano la tostatura. Lo scrittore greco Ateneo di Naucrati, nel suo libro Deipnosophistae (I dotti a banchetto), cita la nocciola come uno degli ingredienti di una torta cretese chiamata gastris, che conteneva anche altra frutta secca, semi di papavero, miele cotto, pepe e sesamo.

Le nocciole sono state ampiamente utilizzate all’epoca dell’Impero Romano e i resti di nocciole carbonizzate recuperate nella zona distrutta dall’eruzione del Vesuvio, forniscono le prove storiche che venivano utilizzate dagli antichi Campani, nel I secolo d.C.
Nel suo libro De re coquinaria, Marco Gavio Apicio, gastronomo dell’antica Roma, fornisce un elenco di spezie, semi e condimenti che sono essenziali in una cucina e tra questi cita le nocciole, utilizzate nelle salse per accompagnare carne, pesce e in molte altre ricette.

Nel Medioevo il consumo di frutta, sia fresca che secca, si riduce a causa dell’influenza delle dottrine di Galeno, che considerava questi alimenti nutrizionalmente poveri e come causa di alcune malattie. Nel suo libro Regimen Sanitatis, il medico catalano Arnaldo da Villanova scrive che le nocciole, a causa della loro natura, possono dare qualche conforto al fegato, ma danneggiano lo stomaco e la testa. In questo periodo storico vengono, quindi, utilizzate solo come addensanti e raramente come ingrediente di un piatto. Molto probabilmente venivano consumate anche da sole, come accadeva per gli altri tipi di frutta secca in guscio ma non furono mai viste come degne di essere menzionate in libri di ricette o trattati di agricoltura.

Nel Rinascimento, nonostante la cucina risenta dell’influenza dei nuovi sapori introdotti dagli arabi, combinati con i gusti classici, gli insegnamenti di Galeno sono ancora prevalenti e l’uso delle nocciole è, indicativamente, lo stesso di quello del periodo storico precedente.
In questo contesto storico, l’uso culinario delle nocciole è menzionato dal cuoco catalano Roberto de Nola, nel suo libro Libre de Coch, come ingrediente di base di una zuppa dolce chiamata avellanate che deriva il suo nome dallo spagnolo avellana, cioè nocciola.

Nel simbolismo antico, il nocciolo era considerato un albero magico e i Druidi lo usavano nei loro incantesimi. Nel medioevo gli sono state attribuite proprietà divinatorie, rabdomanti e cercatori d’oro utilizzavano rami di nocciolo per le loro pratiche.
E’ stato anche considerato il simbolo del matrimonio, della ricchezza e della felicità della famiglia. Ad Hannover, in Germania, la folla gridava “Nocciole, nocciole!” allo sposo perché il terzo giorno dopo le nozze, la sposa distribuiva nocciole a simboleggiare che il matrimonio era stato consumato. In Russia, durante il ricevimento nunziale, la suocera lanciava nocciole e avena al genero mentre a Ciutadella (Minorca, Isole Baleari) i giovani uomini gettavano gusci di nocciole alle ragazze da marito durante la festa di San Giovanni.

Bibliografia

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www.agraria.org