L’olio di palma… è davvero così dannoso?
Da diversi mesi si parla di olio di palma e delle campagne che sono state fatte, e che si stanno ancora portando avanti, per ridurlo o eliminarlo dalla preparazione di alimenti di uso quotidiano.
Ma che cos’è e perché è stato chiamato in causa con tanta veemenza?
L’olio di palma è l’olio vegetale più usato al mondo, non solo in prodotti alimentari, ma anche nel settore cosmetico, farmaceutico e nella produzione di mangimi. Viene estratto dal frutto di alcuni tipi di palme e a differenza di altri oli di origine vegetale, che sono liquidi a temperatura ambiente, è solido perché contiene principalmente acidi grassi saturi (palmitico, stearico e laurico), come quelli presenti negli alimenti di origine animale.
Cerchiamo adesso di capire perché l’olio di palma è così ampiamente utilizzato nelle preparazioni alimentari.
Come detto prima, si tratta di un grasso solido a temperatura ambiente e con una composizione in acidi grassi simile al burro. Grazie alle sue caratteristiche chimiche, gli impasti prodotti con olio di palma risultano, quindi, cremosi e hanno tempi di conservazione lunghi perché è resistente all’irrancidimento. Inoltre, le sue caratteristiche organolettiche non alterano la gradevolezza del prodotto finale e in ultimo, ma non per questo meno importante, è economico.
L’olio di palma è stato introdotto come principale costituente lipidico, di molti alimenti industriali, dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva inasprito le normative riguardanti il consumo di grassi idrogenati, come le margarine, che erano state utilizzati fino a quel momento come sostituto del burro ma che alla fine si erano rivelati più dannosi dei grassi saturi in quanto aumentavano il rischio di malattie cardiovascolari.
Alla domanda: “è davvero dannoso?”, cosa si può rispondere?
Dipende da quanto ne consumiamo!
Trattandosi di un olio con un’elevata percentuale di grassi saturi, va considerato come tutti gli altri alimenti che contengono grassi saturi: burro, strutto, olio di cocco, carni grasse, insaccati, formaggi, ecc. Dal momento che l’apporto giornaliero di questi grassi, non deve superare il 10% delle calorie totali assunte quotidianamente, ne conviene che in un’alimentazione di 2000 kcal non ce ne devono essere più di 20 g, indipendentemente dall’origine, animale o vegetale, perché il loro effetto sulla salute è lo stesso.
Secondo studi scientifici, fatti a partire dai primi anni novanta, emerge che per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, bisogna ridurre l’apporto quotidiano di grassi saturi, sia animali che vegetali. Pertanto, il parere di diversi autori è che il consumo di olio di palma all’interno di una dieta sana e correttamente bilanciata non incrementa il rischio di malattie cardiovascolari.
In merito alla cancerogenicità, i dati al riguardo non sono significativi e ad oggi non è stata trovata una correlazione diretta tra consumo di olio di palma e l’insorgenza di tumori. Stesso discorso si può fare per il diabete perché non ci sono indicazioni da parte dell’OMS sul consumo di olio di palma ed insorgenza di questa patologia.
Come dicevo prima il problema non è l’olio di palma ma i grassi saturi, sia che questi derivino dal burro, dalla carne, dai formaggi, dagli insaccati o da oli vegetali. Per fare qualche esempio ma soprattutto per chiarire meglio le idee a chi non è del settore, in 100 g di formaggio stagionato ci sono 12-13 g di grassi saturi mentre 100 g di carni conservate hanno un contenuto variabile che va dai 2 ai 13 g, quindi, si fa presto ad arrivare al “famoso” 10%.
Una parentesi va aperta sui sostituti dell’olio di palma perché, con tutto il clamore mediatico degli ultimi tempi, ormai molti produttori hanno deciso di cambiare le ricette di diversi alimenti commercializzati e di sostituire l’olio di palma con altri grassi vegetali… ma quali grassi?
Principalmente vengono usati l’olio di girasole, di mais o di soia. Si tratta oli vegetali caratterizzati dalla presenza di acidi grassi polinsaturi, in particolare della serie omega-6. Purtroppo anche questi grassi, se consumati in eccesso sono pericolosi soprattutto perché si danneggiano molto facilmente con il calore, l’ossigeno e la luce, in pratica irrancidiscono e generano dei composti dannosi.
Per un corretto bilancio in acidi grassi polinsaturi, nella nostra alimentazione ci dovrebbe essere un rapporto omega-3/omega-6 di 1:4-1:5; la nostra attuale dieta ci fa assumere più omega-6 del dovuto, con un conseguente notevole allontaneamento dal rapporto “ideale” che divernta di 1:10, il doppio di quello previsto dalle linee guida. Se aumentiamo il consumo di questi oli attraverso l’assunzione di prodotti di uso quotidiano come biscotti, crackers, ecc. non potremmo far altro che allontanarci ulteriormente dal rapporto consigliato.
Altro punto da evidenziare è lo stato fisico di questi oli che a temperatura ambiente sono liquidi e per essere lavorati, spesso, devono subire una trasformazione chimica che potrebbe creare composti dannosi.
In conclusione, anche in questo caso, più che andare alla ricerca di sostituti bisognerebbe fare attenzione alla quantità dei grassi che si assumono quotidianamente e consumarne solo i quantitativi consigliati dalle linee guida per una sana alimentazione.
Bibliografia
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